Michele Minà

Michele Minà ha 21 anni e studia lettere all’università statale di Milano dopo essersi diplomato al liceo classico “E.Cairoli” di Varese.

Nel tempo libero suona batteria e basso, segue corsi di teatro e improvvisazione e scrive e legge molto; tra i suoi autori preferiti S.Benni, D.Pennac, I.Calvino, J.R.R.Tolkien, H.Hesse, T.Pratchett e A.Huxley.

Ha partecipato al Premio Chiara Giovani di quest’anno per proporre una storia ideata da tempo e realizzata sul tema “Volere…Volare” proposto.

Il racconto

Un tempo esistevano i leoni. Forti, fieri, carismatici, intelligenti, liberi. Poi le pecore crearono le discoteche e i centri commerciali. Fu così che i leoni si estinsero.

La vita da leone dura un solo intensissimo giorno in cui queste creature riescono a fare quanto si può sperimentare al mondo: nascono, crescono, si accoppiano, lavorano, ruggiscono e muoiono lasciando tutto ai figli. Tuttavia questi felini non si estinsero a causa della breve durata della loro vita ma dopo una sanguinosa guerra; tutti gli animali combatterono e i leoni, dopo numerosi atti d’eroismo, rimasero decimati. I media furono presi in mano dalle pecore così come le imprese e le aziende; presto gli animali capirono: meglio vivere cento giorni da pecora che uno solo da leone! Così anche le bestie più pure si diedero ai bagordi, all’ozio e perfino i leoni iniziarono a vivere qualche settimana invece di un giorno solo.

Grazie alla propaganda d’autorevoli riviste come “Pecora Moderna”, o telegiornali come “Ovile Aperto” il modello del forte felino fu fatto passare per non “alla moda”, assolutamente non “fashion”; la gioventù smise di sognare il modello selvaggio e possente preferendo nuovi agnellini con bizzarre capigliature. La moda e l’opinione pubblica uccisero fino all’estinzione tutti i leoni. Ora ci sono solo pecore e ciascuna di esse vive i propri cento noiosissimi giorni.

Molti animali sono però convinti d’essere liberi, d’avere una propria personalità senza accorgersi di essere soltanto pecore manipolate dal volere della società. La corsa all’omologazione è iniziata e tutte le creature del regno animale sono ormai simili agli ovini per aspetto e, soprattutto, comportamento.

In un villaggio, in un’aula di scuola, c’è però un agnellino che desidera con tutto se stesso uscire dal gregge.

Questa è la storia di Ronald, la pecora che voleva vivere un solo giorno da leone.

– Vediamo… hai letto: “Il sentiero dei nidi di ragno?”

Chiese belando la professoressa Sheep.

– Sì.

Rispose sicuro l’allievo Pecoranera

– Oh… – fece, stupita, l’insegnate – E ti è piaciuto? –

– Mondoboia, se mi è piaciuto! –

Rispose con sincero entusiasmo l’alunno interrogato.

Ronald, dal suo banco, sospirò profondamente. Urla dell’insegnante contro la sfacciataggine dei giovani, un sonoro 2, la richiesta di colloquio con i genitori: un classico. Osvald tornò al suo banco zampettando annoiato.

– Era necessario?

Fece Ronald

– Cosa? La risposta? Alla fine è quello che penso; forse lo pensava anche l’autore. Voglio dire: gli autori non sono tutti secchioni come vogliono farci credere. Poi, te l’ ho detto Ronald, era ciò che mi è venuto in mente. Tu cos’ hai in mente? Dillo. Avanti, dillo!

– Voglio diventare un leone.

Scese il silenzio tra quei due. La professoressa Sheep sbraitava ancora qualcosa circa il rispetto delle materie e degli autori. Alunni-Zombie annuivano o belavano piano, senza motivo.

– Un leone? Vorresti diventare un leone? In questo mondo? Nel 2000?

– Sì: non voglio avere accessori, soldi, femmine ed essere uno squallido cinquantenne senza cultura. Voglio vivere per davvero! Voglio correre, saltare, volare… Voglio la vita, Osvald! La vita vera.

Osvald ci pensò un attimo e disse:

– Sì, tu puoi riuscirci. Forse non cambierai il mondo ma di certo puoi cambiare la tua vita; se ti basta, agisci ora!

Non s’impara a volare parlando, ma avendo il cuore di andare oltre: io sono solo una cinica pecora nera, tu sei puro e determinato. Non voltarti indietro, salta quella finestra e vai, Ronald, vola anche per me.

Ronald prese coraggio e chiuse gli occhi. Nella classe risuonò il rumore della sedia gettata per terra. Pochi balzi e il salto. Vetro spezzato. Andare oltre. Un portale magico.

Il cuore di Ronald smise di battere e poi egli corse, corse, corse e corse ancora, a due, a quattro zampe. Il vento correva selvaggio sulla sua pelle e scuoteva con forza il candido manto di lana dell’agnellino che ora aveva aperto l’anima al mondo. Quando riaprì gli occhi tutto era cambiato: non vedeva più le insegne luminose ma i fiori, le piccole cose ora lo attiravano più dei “50%” sui cartelloni di sconto. Si sentiva leggero e libero; una criniera ora sventolava fiero sulla testa: era cambiato.

Ronald sorrise. Rise felice. Ruggì forte e quel giorno la terra tremò. Ruggì tanto forte da far sentire a Dio che lui c’era ed era lì. Poi, che Dio ci fosse o no, non aveva importanza. Lui ruggì e basta.

Tornò a casa un giorno dopo. Aveva fatto tutto ciò che un essere vivente potesse desiderare di fare: aveva vissuto. Ora era sporco, sporco e lacero con una lunga criniera d’oro. Soprattutto era felice.

Alla vista, la madre gridò forte come quel tuono che squarciò il velo del tempio di Gerusalemme; l’urlo infilzò Ronald come la lancia di Longino e gli insulti penetrarono nelle costole. L’agnellino sorrise, disse solo: – Mamma!- quindi morì. La madre lo strinse tra le braccia in lacrime perché solo ora aveva capito che il sistema e la società, come le nuvole, erano arrivate nel suo cielo per impedirle di vedere il sole, di capire il figlio. Così Ronald morì dicendo quell’ultima parola, che fu anche la prima, tra le braccia che furono le braccia che lo amarono per prime.

Al funerale Osvald aveva il capo chino e lo sguardo triste, la madre singhiozzava tra le consolazioni di circostanza. “Era un alunno diligente…” disse la professoressa Sheep.

Due ragazzi stavano sdraiati sull’erba del cimitero a contemplare la scena:

– Pare che quello lì fosse un vero leone.

– Già. Assurdo vero? Beh, ma noi siamo veramente ganzi cioè chi altro oggi si veste in modo eccessivo e alternativo come noi? Noi che non siamo contaminati dal sistema e siamo qui a guardare le nuvole! Non c’è pubblicità in cielo! Eh no! noi non siamo stati manipolati come quei matusa qui intorno! Vedi quella nuvola grossa nuvola cilindrica? Tu hai molta immaginazione, sei un vero sognatore! A cosa assomiglia quella nuvola?

– Ad una lattina di Coca-Cola.

– Già…

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